Buffer veloci: un po' di chiarezza | Il Bo Live UniPD

2021-12-01 08:49:14 By : Mr. Andrew Zeng

"I test di ultima generazione (immunofluorescenza con lettura microfluidica) sembrano mostrare risultati comparabili ai saggi RT-PCR". Questa la frase chiave dell'ultima circolare del Ministero della Salute in tema di tamponi. Si tratta di una novità, che apre la strada a una diagnostica più rapida e, si spera, più certa. 

Più veloci perché i test di ultima generazione di cui stiamo parlando sono gli ormai “famosi” test rapidi, che permettono di avere una risposta in pochi minuti. Più certo perché purtroppo la sensibilità delle prime due generazioni di questi test non era così alta. Tuttavia, un'analisi così generica non basta per districarsi dal mare dei tamponi, occorre capire più a fondo le differenze e cosa comporterà ora questa nuova circolare.

Pertanto, la premessa da fare è capire la differenza tra tampone molecolare e antigenico. La prima” viene eseguita su un campione prelevato con tampone a livello naso/orofaringeo (l'Università di Padova sta sperimentando una tipologia basata esclusivamente sulla saliva, qui tutti i dettagli sui risultati dell'esperimento), e poi analizzata attraverso metodi molecolari di real-time RT-PCR (Reverse Transcription-Polymerase Chain Reaction) per l'amplificazione dei geni virali più espressi durante l'infezione. L'analisi può essere effettuata solo in laboratori altamente specializzati”.

Finora questi sono stati i test con la più alta sensibilità che significa avere un vantaggio in termini di screening (i falsi negativi non si perdono), ma il contro di questo tipo di tampone è la tempistica per ottenere una risposta. Occorrono almeno 24 ore prima di avere in mano un referto (il solo processo di analisi dura, a seconda del macchinario utilizzato, almeno 3-6 ore, a cui si aggiunge il tempo per leggere e scrivere i referti), anche se in molti casi questo tempo ha superato le 48 ore.

Per evitare le lunghe attese esistono test antigenici rapidi. Questi tamponi si basano su un principio diverso da quelli molecolari. Le modalità di prelievo del campione sono del tutto simili a quelle dei test molecolari, ovvero si esegue un tampone nasofaringeo. I tempi di risposta, però, sono molto brevi (circa 15 minuti) e non si cerca più l'RNA del virus ma si cerca la presenza degli antigeni, le proteine ​​che vengono riconosciute come estranee dal sistema immunitario, cioè appunto quelle sostanze estranee che provocare una reazione. Come ricorda la circolare del ministero, "sono disponibili diversi tipi di test antigenici, dai test immunocromatografici a flusso laterale (prima generazione) ai test immunofluorescenti (seconda generazione), che hanno prestazioni migliori" (nella tabella seguente sono riportati i risultati e le relative sensibilità, al 9 novembre 2020, di diversi tipi di test antigenici ndr). 

Fonte: https://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/Options-use-of-rapid-antigen-tests-for-COVID-19_0.pdf

Quindi quale dei due test è migliore? Questa è una domanda la cui risposta rischia di essere alimentata dalle polemiche sanitarie e politiche che alcune regioni stanno vivendo da mesi. Quello che si può dire è che entrambi sono uno strumento utile per diagnosticare la presenza del virus, se usati correttamente. Cercando di semplificare, e sperando di non nuocere a nessuno, potremmo dire che la logica potrebbe suggerire che il tampone molecolare fino ad ora, avendo una maggiore sensibilità, avrebbe dovuto essere utilizzato per lo screening di quelle categorie più a rischio di poter infettare altre persone (categorie ad alta prevalenza) creando così focolai, come gli operatori sanitari. D'altra parte, i test antigenici rapidi avrebbero potuto essere utilizzati, come è avvenuto in molte regioni, per uno screening più ampio, che però, data la bassa sensibilità, avrebbe dovuto essere ripetuto più volte nelle stesse persone nell'arco di pochi giorni.

Abbiamo detto “fino ad oggi” perché ora questa ipotesi è stata regolamentata dalla già citata circolare del Ministero. Secondo questo documento, "il test molecolare rappresenta il gold standard internazionale per la diagnosi di COVID-19 in termini di sensibilità e specificità". Tuttavia, i test antigenici di ultima generazione (immunofluorescenza con lettura microfluidica) "sembrano mostrare risultati comparabili ai saggi RT-PCR", soprattutto se utilizzati entro la prima settimana dall'infezione. Un cambiamento non trascurabile in quanto il problema delle precedenti due generazioni di antigeni era proprio la bassa sensibilità. L'ultima generazione di test rapidi dunque “si rivela una valida alternativa all'RT-PC”.

Quale test viene utilizzato ora? Anche questa è una domanda che difficilmente può trovare una risposta univoca per tutte le situazioni. Indubbiamente la circolare raccomanda l'utilizzo di test molecolari o antigenici di ultima generazione, consapevole però che "nei casi in cui non siano disponibili saggi antigenici rapidi di ultima generazione o test molecolari in RT-PCR, o i tempi di risposta siano eccessivi, precludendo l'esame clinico e/o di utilità per la salute pubblica, si raccomanda l'utilizzo di test antigenici rapidi con i seguenti requisiti prestazionali minimi: ≥80% di sensibilità e ≥97% di specificità” (vedi tabella in alto ndr).

In pratica, quindi, può ancora capitare di utilizzare, a discrezione delle ASL e anche in base a quanto acquistato finora ed eventuali riserve, i test rapidi di prima e seconda generazione. In questo caso, la circolare ci ricorda che in un "contesto ad alta prevalenza (e anche in questo caso per una migliore comprensione rimandiamo alla tabella sottostante), è probabile che la positività di un test rapido dell'antigene sia indicativa di un vero infezione, non richiedendo conferma con il test RT-PCR, viceversa, in un contesto di bassa prevalenza (quindi ad esempio per la popolazione generale asintomatica), i test antigenici rapidi dovrebbero essere in grado di rilevare un caso altamente contagioso, in questo caso un risultato positivo richiederà conferma immediata”.

In sintesi, quindi, nelle persone con sintomi, se si utilizza il test rapido, è preferibile utilizzare i test antigenici su immunofluorescenza con lettura microfluidica (terza generazione) che devono essere "eseguiti al più presto e comunque entro cinque giorni". di esordio. sintomi”. Se negativo, il test deve essere ripetuto dopo 2 o massimo 4 giorni.

Nelle persone asintomatiche, invece, il test rapido può essere utilizzato “in attività di contact tracing, per testare contatti asintomatici con esposizione ad alto rischio; nelle attività di screening di comunità per motivi di salute pubblica (es. scuole, luoghi di lavoro, ecc.), dove il rischio di non rilevare tutti i casi o di falsi negativi è controbilanciato dalla tempestività degli esiti e dalla possibilità di effettuare test periodici (questa condizione , che abbiamo capito essere fondamentale per un corretto tracciamento ndr); in contesti sanitari e socio-assistenziali/sociali-sanitari come comunità chiuse o semichiuse (es. carceri, centri di accoglienza per migranti), in aree ad alta trasmissione comunitaria per lo screening periodico dei residenti/operatori/visitatori”. Per quanto riguarda l'infermieristica domiciliari, lungodegenti e altri luoghi di assistenza sanitaria, tuttavia, "si può considerare l'utilizzo di test antigenici rapidi di ultima generazione laddove sia necessario adottare misure di sanità pubblica in tempi estremamente rapidi".

Ancora una volta è il tempismo che può fare la differenza. La circolare ricorda che “se la data dell'esposizione non è nota o se vi sono state esposizioni multiple per almeno tre giorni, il test rapido dell'antigene deve essere eseguito quanto prima ed entro 7 giorni dall'ultima esposizione. Nel caso in cui vi sia stata una sola esposizione, il test rapido dell'antigene deve essere effettuato tra il terzo e il settimo giorno di esposizione”.

Cosa succede se i risultati tra i test molecolari e antigenici sono discordanti? In questo caso la risposta è chiara. Il risultato del test molecolare ha la precedenza sul risultato del test dell'antigene.

Infine, è utile sapere che chi si reca a fare il test privatamente in laboratorio o in farmacia, se negativo, non necessita di ulteriori accertamenti (è importante però che il soggetto in questione non appartenga a categorie a rischio per esposizione professionale o non è stato in contatto con casi sospetti), mentre se il test è positivo è necessaria la conferma con un test rapido di terza generazione o con un tampone molecolare.

È importante, e lo ripetiamo, che la persona in questione non abbia sintomi o non sia stata a rischio di contagio, altrimenti deve necessariamente chiamare il medico curante per gli opportuni provvedimenti.

La circolare ricorda inoltre, fatto da non sottovalutare, che se il tampone rapido effettuato da una persona non a rischio di contagio è di prima o seconda generazione, anche se negativo, può esserci un margine di errore dovuto alla sensibilità non ottimale, per questo si raccomanda, “Nel comunicare un esito negativo, di fornire adeguata informativa al soggetto, raccomandando comportamenti prudenziali”.

Rimane poi la questione di come vengono trattati i dati dei tamponi antigenici rapidi. Anche in questo caso in alcune regioni c'è stata una polemica tra chi ha inserito tra i dati regionali tutte le sostanze antigeniche di prima e seconda generazione effettuate e chi si è affidato solo ai test molecolari. Non è una cosa da poco, perché questi numeri sono una delle variabili su cui decidere il livello di restrizione regionale, ovvero i famosi "colori". Anche in questo caso è utile capire cosa dice il Ministero.

La circolare afferma chiaramente che "i risultati dei test rapidi antigenici o RT-PCR, anche se effettuati da laboratori, strutture e professionisti privati ​​accreditati dalle Regioni, devono essere inseriti nel sistema informativo regionale di riferimento". Un obbligo che, però, non si è ancora trasformato in un'aperta diffusione dei dati. I dati dei tamponi antigenici, infatti, non sembrano essere inseriti nella piattaforma di diffusione dati della Protezione Civile.

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